La crisi irreversibile delle monodimensionalità

Dalla resilienza all’antifragilità nell’era dell’economia della creatività. La non dipendenza come presupposto di qualunque strategia. Le riflessioni di Nicola Pirina al TEDx di Macomer.

Vi proponiamo il testo integrale dell’intervento del direttore generale di Sardex, Nicola Pirina, al TEDx organizzato all’interno del Festival della Resilienza di Macomer. 

 

Cari tutti,

vorrei che ci mettessimo in testa che non viviamo una crisi, ma siamo ormai nel pieno di una nuova realtà socio economica e con questa che dobbiamo fare i conti. Da qui occorre partire. Così come vorrei fosse chiaro che, per i ragionamenti necessari, dobbiamo andare oltre lo stesso concetto di resilienza, anch’esso, non più bastevole rispetto al nostro tema.

Dobbiamo inquadrare il perché ed il percome le comunità che decidono di sopravvivere devono pensare se stesse e viversi come sistemi operativi territoriali antifragili, autoapprendenti, consapevoli; siamo in piena era dell’economia della creatività e nessuno si può più permettere di ragionare per confini geografici ed amministrativi e i problemi politico- amministrativi sono solo una copertura d’incapacità.

Vorrei cioè demolire l’idiozia culturale che ci circonda, ci contamina, ci impedisce di uscire dallo stato di passivo torpore che ci ha portato fin qui. Quando ero giovane, magro (neanche tanto per la verità) ed avevo i capelli, parliamo dell’inizio degli Anni Novanta, freschi di diploma, avevamo dei pc antidiluviani, modem a 56k; il massimo (per chi, come me, è utente non programmatore) era controllare la posta Tiscali (da Cagliari ci voleva una vita e molta pazienza). Quella era un’altra era geologica.

Passano gli anni, arrivano i motori di ricerca, in rete caricano di tutto, davvero tutto e ci convincono che dovevi essere tu bravo a trovare, meglio se in inglese, quello che volevi, dovevi conoscere le tecniche di ricerca booleana; diversamente non trovavi quel che ti occorreva. Oggi usiamo macchine che in una rete globale sono diventate autoapprendenti, ossia che anche se tu digiti male e a casaccio, loro imparano da quel che tu fai col pc in rete e ti vengono incontro con la risposta più aderente possibile al tuo storico in rete. Macchine che diventano insieme a te più intelligenti, a tuo vantaggio.

Così come abbiamo vissuto mille stagioni di programmazione software, mille linguaggi, oggi studiamo software e linguaggi che devono avere la stessa logica e struttura del dna del corpo umano. Oppure riflettete sulla quinta dimensione dei materiali di nuova generazione che incorporano software sempre più intelligenti. Quello che per noi era insalata di matematica, oggi è cibernetica applicata.

Ecco, pochi semplici esempi, di mercato, ci dimostrano che nel mondo, se si vuole e se realmente serve, le trasformazioni col tempo avvengono. E sono globali. I territori, molti, sono in era pre modem a 56k, ma per loro stessa inedia. I territori devono invece diventare come le macchine autoapprendenti di oggi, altrimenti non hanno scampo e diventano terra di conquista.

Le crisi, per le società, sono come il fallimento per l’uomo o per le startup – oggi tanto di moda – rappresentano un momento di riflessione degli errori commessi. Dobbiamo partire da una profonda analisi di tutto quello che ci circonda, per poter trovare la giusta via da cui ripartire, ma attenzione, non duplicare i km di bilici di analisi territoriali che vengono commissionate alle solite università di cui siamo sommersi.

Questo vale anche per l’ecosistema delle imprese, se guardiamo alle star-up e ai nuovi approcci all’attività imprenditoriale, il fallimento è la via per il successo. O anche a livello aziendale, non ne esiste una che non sbaglia, che non commette errori, non sarebbe sana. Non è l’impresa che sbaglia ad avere problemi, bensì quella che ricommette sempre gli stessi senza neanche cercare un correttivo. Non bisogna vergognarsi di quello che si è fatto, ma bisogna farne tesoro e tener sempre a mente gli sbagli commessi, solo così si potrà andare avanti.

Ecco, quel che avviene nel mondo della creazione di nuova impresa, specie se innovativa, non è quel che accade nei territori, anzi mi sembra che siamo oramai cintura nera “nono dan” nel perseverare sempre negli stessi errori, sempre nelle stesse strade chiuse, sempre con gli stessi schemi, sempre con le stesse persone. Sempre con le stesse camarille (partiti, sindacati, associazioni di categoria, fratellanze varie), le medesime corporazioni immutabili nel tempo e nei contenuti, i consueti schemi dentro scatole uguali, logore per il tempo ma ancor più per l’assenza di contenuti e il distacco dalla realtà e dalle reali necessità delle persone. Penso che la matrice degli errori che vengono commessi nei territori abbia il difetto genetico della monodimensionalità, cui ci si abitua e si pensa che nulla possa essere differente.

Prendete la 131. Tralasciando il fatto che ho 41 anni e non l’ho mai vista senza un cantiere e, se c’è qualcuno in sala anagraficamente più esperto di me, ci dirà che senza cantieri non è mai esistita. E questo già la dice lunga, qui in Sardegna, sul fatto che si pensi alla 131 (e le altre, penso la Sassari Olbia, la 130, la 125 e così via) sempre e solo come strada, mai come luogo di vita di chi la percorre, con le funzionalità che servirebbero, mai con altra funzione rispetto a quella base.

Ed è questo è un primo punto, ma aggiungo e se coprissimo la 131 di un grande serpentone fotovoltaico che raccoglie anche l’acqua piovana?  In questo modo potrebbe cedere acqua ai terreni confinanti o ai consorzi di bonifica, potrebbe cedere energia in rete, potrebbe fare la stazione di ricarica per auto elettriche che ormai sono fully eletric and extended range, offrire illuminazione notturna alla stessa arteria per ragioni di sicurezza e così via. Questo esempio vale per tutto, vale per le abitazioni private, per i luoghi di lavoro, per gli edifici pubblici, vale per il modo stesso di concepire l’utilizzo degli spazi pubblici e privati aperti o chiusi che ci sono. Per non parlare poi del mare e dell’energia che se potrebbe estrarre.

La vita è cambiata, le abitudini sono cambiate, così come gli strumenti e i mutamenti proseguiranno con la stessa energica velocità. Lo stesso difetto di monodimensionalità purtroppo lo subiamo anche nella formazione e nella cultura. Ma mi dite oggi qual è il modello contemporaneo d’istruzione che viene trasmesso ai nostri figli e nipoti?
E questo vale per la scuola primaria, secondaria e per le università.

Se doveste incontrare qualcuno che afferma di non aver mai sbagliato o fallito nel fare imprese, nell’amministrare qualcosa o più semplicemente nella vita, siete davanti, nella migliore delle ipotesi, a persone o che mai hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco o a qualcuno con cui vi sconsiglierei di instaurare un rapporto. Se approfondissimo la loro conoscenza, altro sport nazionale, mai è colpa loro la mancata riuscita del tema considerato, è sempre impedimento da loro non dipendente, guarda caso.

Nella vita, le esperienze definiscono le persone e le rendono uniche, lo stesso vale per i territori. Ogni crisi e ogni fallimento portano crescita, cambiamento, opportunità e progresso, non bisogna avere paura di cogliere questa sfida, anzi dobbiamo esserne entusiasti, anche perché, cinicamente, se così non fosse, quali sarebbero le valide alternative? Chi non la pensa così, se ci fate caso, ha già profumo di mogano.

Se guardiamo con attenzione alla crisi odierna, ci renderemo conto che non si tratta di una mera crisi economica, ma di qualcosa di molto più grave e difficile da affrontare. Siamo davanti a una crisi sociale, dobbiamo mettere in discussione i valori su cui ci basiamo, gli approcci, il modo di pensare e via discorrendo.

Abbiamo creato un mondo che non è per tutti, ma per pochi, ricchi e sani. Vi sembra normale? La crisi più grande e difficile d’affrontare è quella della fiducia in se stessi, nel prossimo, nelle istituzioni e nel sistema di governance. Per far ripartire questo sistema dobbiamo riscrivere l’ordine d’interesse delle tematiche d’affrontare, bisogna creare dei modelli crescita e di sviluppo equi e etici, che modifichino le presenti prospettive.
E’ importante come si cresce non quanto si cresce, noi siamo per l’economia generativa, non estrattiva.

Le molteplici sfide da affrontare tutti insieme in questa fase di disuguaglianza, su cui è chiaro non che ci si va a schiantare, vertono tutte su un concetto: sostenibilità declinata in vari modi, finanziaria, energetica, alimentare, territoriale, urbana, sanitaria, sociale, aziendale.

L’approccio dev’essere comune, omogeneo e uniforme, le politiche di cambiamento devono volgere a un amalgama possibile di tutti e di tutto per ottenere un comune risultato, solo così potremmo vincere tutte queste sfide. Il mondo sta già reagendo a quanto accaduto, ci troviamo all’inizio di una nuova era: la quinta rivoluzione industriale è già in atto; ci troviamo davanti a una rivoluzione che non è solo digitale ma qualcosa di molto più grande, è biotech, fintech, nanotech, robotica, è qualcosa che ha già cambiato il nostro modo di vivere, siamo nell’economia delle idee, della creatività.

Ma è mai possibile che non decidiamo mai che cosa vogliamo fare da grandi? Cosa essere da grandi? E’ mai possibile che in ragione di un modello economico (sbagliato) imposto dagli altri, noi non decidiamo mai le nostre strade?
Ecco, questa è la terza monodimensionalità di cui siamo succubi, abbiamo un modello di dipendenza anche nel fare, nel non fare, nel subire oltreché nel pensare. Non siamo mai noi a decidere il nostro destino socio economico, subiamo passivamente schemi e modelli che, oltre a non assomigliarci né appartenerci, non hanno per noi nessun futuro, se non sfruttamento e passività.

La società del futuro, oltre che integrata digitalmente, è quella che parla d’interazione coi mondi e con le culture e non di integrazione, è priva di barriere dove tutti sono in connessione creativa, dove l’originalità, la proattività e la generazione di nuovi processi, di nuovi percorsi sono il comune denominatore del progresso sociale e economico di cui abbiamo bisogno.

Questo processo è in atto, ma la strada d’affrontare è ancora lunga. La situazione dell’attuale popolazione italiana (che esprime valori sempre inferiori a meno della metà della media europea) può essere sintetizzata in pochi numeri:
30% non ha mai utilizzato Internet;
60% ha competenze digitali basse o nessuna;
26% ordina beni e servizi dal web;
25% utilizza online banking;
9% dei ricavi deriva da e-commerce;
6% delle imprese realizza vendite online di un peso superiore all’1% del fatturato;
18% delle imprese utilizza software di CRM;
12% delle aziende italiane vanta un alto livello di intensità digitale;

Questo vento di cambiamento sta investendo tutti, dobbiamo affrontarlo insieme
non possiamo stare fermi, né dobbiamo subirlo. Qual è la nostra lettura? Qual è la vocazione delle persone? Quale quella dei territori? Qual è la nostra necessità? Qual è la necessità dei cittadini e dei consumatori per cui vogliamo produrre? Ma siamo ancora convinti che noi produciamo senza attenzione ai consumatori e la gente compra lo stesso? Ormai la vendita verticale e passiva non esiste più, le aziende, o sono customer company o sono già chiuse.

Questo mutamento sfrutterà come leva l’aumento esponenziale del capitale umano che è a disposizione in termini di esperienza, competenza e competitività, riscrivendo il mercato del lavoro come noi lo conosciamo. Componente non trascurabile di questo scenario arriva dai millenials. Questa nuova generazione così bistrattata, figlia di una società malata che li ha obbligati ad abbandonare la propria terra per cercare fortuna altrove, è il vero cuore pulsante del cambiamento.

Il loro bagaglio di esperienza li ha resi figli di un mondo globalizzato senza ostacoli ma senza mai dimenticare le proprie origini, loro sono portatori sani d’intraprendenza, creatività e connettività, hanno l’onere di arrivare dove noi abbiamo fallito, integrare le società e i territori di questo mondo abbattendo le barriere da noi create. Ma non dobbiamo fare l’errore di lasciarli soli, noi siamo e dobbiamo essere la generazione che traghetta. Perciò non dobbiamo fare l’errore dei nostri predecessori che, sbandierando per più ragioni che il mondo è dei giovani, altro non hanno fatto che distruggerlo rendendoli in posizione di sudditanza.

Il progresso è un processo continuo nel tempo dove la dinamicità e l’esperienza delle persone sono l’elemento chiave del successo di tale percorso; l’innovazione da una risposta concreta a quelli che sono i bisogni della società odierna (and next needs) sempre più complessa, innovare vuol dire cambiare il modo con cui guardiamo le cose, chi non si mettere in gioco è perso: innovate or die.

La più grande rivoluzione di sempre, dopo Gesù Cristo nostro signore, è Internet.
Questo è l’approccio giusto per sopperire alla necessità di cambiamento di cui abbiamo bisogno, ciò sarà possibile solo se anche i territori e le società decidono di abbracciare questa filosofia basata sulla connettività e sulla condivisione. Tutti siamo spinti a cambiare e a crescere. Tutto quello che abbiamo fatto e faremo può essere sempre migliorato, la condivisione delle idee e delle risorse aiuterà la crescita e lo sviluppo comune.

Dobbiamo iniziare a pensare ai nostri competitors come partner. Se pensiamo alla filosofia open source nello sviluppo dei software, vediamo come si sia creata una vera e propria cultura della condivisione dell’idea e risorse per il bene comune. Ogni utente è stimolato a migliorare lo strumento che utilizza con la consapevolezza che qualcun’ altro, dall’altra parte del mondo, sta facendo la medesima cosa con lo stesso fine. Così si creano i network autoapprendenti, basati sulle interazioni propositive degli individui volte ad accendere il maggior numero di sinapsi nella rete.

Sardex opera proprio in questo senso, generando valore territoriale di conseguenza. La risposta che stiamo dando ai problemi e alla sfide che abbiamo deciso di accettare, è una risposta comune che parte dal territorio e dal suo ecosistema di interazioni tra individui, legato al loro bagagli di esperienza. Sardex crea, sviluppa e integra nel territorio e nella società le interazione delle imprese. Queste ultime sono entità con vita propria, fatte di persone e legate fortemente ai territori in cui operano. Sardex è il connettore, le accomuna e sostiene il continuo sviluppo della rete.

La creazione del network canalizza filosofia e culture comuni, genera identificazione sociale in ogni territorio, instaura principi di condivisione, connettività e reciprocità, base vitale del nostro modello e del suo sviluppo continuo. Questo differente approccio ci ha permesso di creare un infrastruttura di sostegno all’economia locale, legata ai territori grazie ad un sistema operativo la cui forza è la rete, è il sostegno reciproco e dove l’innovazione è il modo con cui guardiamo i problemi e il territorio. Ogni territorio è unico e non replicabile, ma come entità autoapprendente, deve essere nella sua natura interagire con gli altri per una crescita comune e integrata.

Abbiamo esportato il nostro modo di fare e di pensare in buona parte dell’Italia. I territori del nostro paese sono un esempio unico di biodiversità umane, culturali, sociali e economiche. Abbiamo scelto di essere promotori della coesione sociale ed economica tra i territori perché crediamo fortemente nelle persone che gli danno vita ogni giorno e pensiamo che questa sia la via da percorrere per dare una risposta concretata alla necessità di cambiamento, evidenziata dalla società moderna.

Sardex è tanto disruptive da poter essere paragonata al metodo Montessori, al modello Olivetti e così via. Sono certo che l’Italia questa volta non getterà via il futuro come ha fatto in passato. Un vecchio saggio che seguo dice “Il vento può spegnere la candela o ravvivare il falò. Lo stesso avviene con la casualità, l’incertezza e il caos: bisogna imparare a farne uso, anziché tenersene alla larga. Dobbiamo imparare a essere fuoco e a sperare che si alzi il vento. Non dobbiamo limitarci a sopravvivere all’incertezza, a farcela per il rotto della cuffia: non solo vogliamo sopravvivere all’incertezza, ma come quegli stoici particolarmente risoluti in epoca romana vogliamo avere l’ultima parola. La nostra missione consiste nel capire in che modo possiamo addomesticare, addirittura sottomettere, l’invisibile, l’opaco e l’inesplicabile.”

Come fare? Diventiamo alfieri di antifragilità. L’antifragilità va oltre il concetto di resilienza, dove l’oggetto rimane lo stesso. L’antifragile dà luogo ad un’evoluzione migliore. Questa proprietà sottende tutto quanto cambia nel tempo: cultura, idee, ricette, resistenza ai batteri. L’antifragilità stabilisce il confine tra ciò che è vivente e ciò che è inerte.

La via è tracciata, le società i territori devo dialogare tra loro, non possiamo continuare a vivere nella finzione del mondo globalizzato e interconnesso dove, in realtà, le società moderne costruisco barriere sociali, culturali e economiche aumentando sempre più la forbice all’interno e all’esterno delle società e dei territori. E’ il momento di cambiare, rimbocchiamoci le maniche e affrontiamo queste sfide ricche di opportunità.

In chiusura: l’evoluzione è nel cambio d’abito mentale. Non è l’economia a fare la società, ma, viceversa, è la società che fa l’economia. Un’ economia giusta, etica, non avida, non opulenta, utile. La Sardegna ce la farà. Ci sono, come sempre, più soldi che idee. I territori che diventano antifragili e fanno tesoro dei propri patrimoni riusciranno. L’isola ce la farà. Fino a che non mi abbattono, fino a che il cardiologo non mi ferma, fino a che l’ipocrisia e l’ignoranza altrui non mi demoliscono, la Sardegna avrà un robusto combattente antifragile.

Chi mi aiuta? Buon futuro a tutti, ricordiamoci sempre che conoscenza è libertà, perché è la creatività, non automatizzabile, il futuro.

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