Data Journalism, intervista ad Alberto Nardelli

Twitter, dati, digitale. Come sta cambiando il giornalismo? Ne abbiamo parlato con il data editor del The Guardian.

È sempre difficile scegliere cosa fare e non si sa mai dove si vuole arrivare davvero, specialmente dal punto di vista lavorativo, specialmente oggi. Il mondo del lavoro sta affrontando cambiamenti epocali: cambiano i mestieri, la domanda e l’offerta, nascono nuovi settori e nuove figure professionali, si sviluppano nuove competenze e conoscenze.

Dei nuovi trends per il 2015 avevamo già scritto, e tra questi avevamo menzionato anche il Data Journalism. Abbiamo approfondito questo nuovo modo di fare giornalismo con Alberto Nardelli, data editor di un giornale che non ha certo bisogno di presentazioni, il The Guardian.

Alberto, di cosa ti sei occupato prima di passare al The Guardian?

Avevo una mia società chiamata Tweetminster, in cui facevo analisi di elezioni e di dati politici. Inizialmente era nata per cercare e seguire politici su Twitter. Ricordo che quando abbiamo lanciato il progetto nel 2009, su Twitter c’erano solo quattro politici, mentre adesso è raro che qualcuno non abbia un profilo su questo social. Da lì la piattaforma si è sviluppata come analisi di politica su Twitter ma studiavamo anche l’utilizzo di Twitter come piattaforma per distribuire notizie politiche. L’ultima cosa che ho fatto è stata quella di analizzare e raccontare notizie che riguardavano le elezioni utilizzando proprio Twitter, quindi analizzavo i dati e poi raccontavo quei dati sui social.

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Come sei arrivato al The Guardian?

Sai, uno non sa mai che percorso sceglie, perché quel percorso non è mai lineare, la cosa importante è avere un misto di conoscenze pratiche e di interessi. Io avevo fatto altri percorsi e avevo la passione per il digitale, i dati e il giornalismo. È dall’intersezione tra queste cose che sono riuscito a trovare qualcosa che mi interessasse veramente. Io penso che sia noioso avere un unico interesse, penso piuttosto che la diversità sia interessante.

Sono arrivato al The Guardian perché stavo esplorando una collaborazione con loro, quando il caporedattore mi ha detto “perché non vieni a lavorare da noi?”.

L’area dati in cui lavoro è nata cinque anni fa, per ora siamo in cinque.

Ci spieghi cosa significa Data Journalism?

In realtà è meglio parlare di Data Driven Journalism, cioè del giornalismo guidato dai dati. La cosa chiave è che i dati non sono la storia ma la fonte di una notizia, troppo spesso invece i dati vengono visti come una notizia. Trovo il giornalismo che utilizza i dati molto interessante e innovativo. Si tratta di un vero e proprio lavoro di team perché coinvolgi anche grafici e programmatori, oltre che giornalisti ed esperti di varie discipline. In Inghilterra tra l’altro non esiste l’albo dei giornalisti, proprio di recente abbiamo assunto una persona con background diversi, perché il giornalismo ormai richiede varie competenze ed esperienze. Dipende da quello che sai fare e dal tuo potenziale.

In quale direzione stanno andando i giornali locali?

Penso che per i giornali locali, la cosa chiave sia essere originali. Se tu dedichi tutte le tue risorse sulla realtà locale, il tuo vantaggio rispetto a una testata nazionale che si occupa anche di locale è che hai l’opportunità di fare cose di una profondità e un’originalità superiore. Quindi la chiave è cercare di capire come sviluppare questa profondità e cercare di creare un audience locale molto ben definito. Un’altra chiave di volta, secondo me, è quella di saper riuscire a raccontare storie locali ad un pubblico non del posto, ma globale.

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