Gabriele Littera ha studiato lontano da casa ma a differenza di altri ha scelto di tornare al suo paese d’origine – meno di diecimila anime – realizzando un’idea coraggiosa, “Sardex.net”. Un gioiellino di finanza etica, che oggi viene studiata anche all’estero.
Ho incontrati pochi sorrisi in vita mia che mi sembrassero aperti come quello di Gabriele Littera.
Guardarlo incute un istinto immediato di allegria, perché ha le proporzioni fisiche del ragazzino nato già compiuto e una testa scomposta di ricci castani in cui ogni tanto si infila veloce una mano abbronzata. A occhio non gli daresti nemmeno i suoi ventisei anni, comunque troppo pochi per credere che abbia già una storia da raccontare. Invece Gabriele una storia ce l’ha ed è una di quelle capaci di cambiare per sempre l’angolo di mondo che ha la fortuna di sentirsela narrare. Come tanti è uno che ha studiato lontano da casa (marketing a Teramo) ma a differenza di altri ha scelto di tornare al suo paese d’origine – meno di diecimila anime – sfidando le due maggiori forze di inerzia che un giovane imprenditore si trova ad affrontare quando inizia a lavorare in proprio: realizzare un’idea coraggiosa e provare a farlo proprio nell’ultimo posto in cui qualcuno si aspetterà che funzioni.
L’idea di Gabriele si chiama Sardex ed è un gioiello di finanza etica.
Funziona da soli due anni, ma la studiano ormai in tutta Europa. Insieme a lui l’hanno pensata e realizzata suo fratello Giuseppe e i loro due amici Piero e Carlo, che ci hanno messo intelligenza, competenze e passione. Convincere la gente che poteva funzionare non è stato facile.
“Le persone sono abituate a pensare che nessuno ti dà niente per niente e che nel commercio vale il detto mors tua vita mea. Abbiamo dovuto dimostrare loro che un’economia è davvero forte e umana solo quando non emargina nessuno e permette a tutti di scambiare valore reale.”
L’idea di Gabriele e dei suoi soci realizza questa visione attraverso un sistema di mercato basato su una moneta complementare all’euro, che permette scambi commerciali anche in assenza di liquidità. La moneta, il sardex, non ha forma fisica: nessuno la stampa, nessuno la scambia, quindi tecnicamente non esiste. Il commercio senza il denaro sembra fantascienza, ma a dimostrare che funziona ci sono centinaia di aziende che negli ultimi anni, specialmente da quando è iniziata la crisi, grazie a questo sistema hanno potuto continuare a scambiarsi il valore del lavoro anche senza avere i soldi per effettuare le contrattazioni.
Se gli chiedo se funziona come un baratto, Gabriele scuote la testa con aria divertita. La mia ignoranza non lo spazientisce. “Se tu fossi un macellaio e ti servisse un’auto, non convinceresti mai un concessionario ad accettare il suo valore in bistecche. Ma se vendendo l’auto a te il concessionario sviluppasse un credito che può essere saldato da altre centinaia di aziende più interessanti per lui, allora l’auto può essere tua. E la carne che a lui non interessa, tu la venderai a un ristorante o a una mensa aziendale aderente al circuito”. Mi sembra chiaro, ma mi metto nei panni del macellaio: che succede se non riesce a ripagare il circuito con la carne? Gabriele mi sorprende ancora una volta con una risposta che di economico sembra non avere niente. “Alla fine dell’anno quello che manca al saldo lo paghi in euro, ma lo paghi al prezzo iniziale di acquisto. Così il circuito ti ha permesso di accedere a un bene che altrimenti non avresti acquistato, ti ha consentito di ripagare una parte del debito con il tuo lavoro ordinario e ti ha dilazionato il resto del pagamento senza interessi”.
“Non chiedendo interessi, Sardex rifiuta di fare denaro col denaro, che poi è il modo in cui si arricchiscono i banchieri. Una volta pagato il servizio di affiliazione al circuito, gli scambi tra beni e servizi avvengono gratuitamente e in regime di pareggio. Ma nel capitalismo tradizionale non esiste il pareggio. Chi pareggia ha già perso e perdere in quel mondo significa fallire, chiudere, morire.” – mi dice serio – “Noi non possiamo accettare un mondo dove il sistema economico per stare in piedi debba generare i fallimenti, le chiusure e le morti che la cronaca ci insegna non essere più solo commerciali. Nella nostra visione il pareggio è l’unica prospettiva sostenibile, perché permette una vittoria senza sconfitti. E conviene a tutti.”
Non so e non credo che Gabriele e i suoi soci abbiano mai sentito parlare di una cosa chiamata economia di comunione, ma con queste premesse non sorprende che le loro conclusioni siano molto simili a quelle che aveva raggiunto Chiara Lubich nel 1991 quando se la inventò, coniugando i due campi apparentemente antitetici del mercato e della convivenza solidale. Vent’anni dopo questo giovane uomo di ventisei anni e il suo sorriso radioso mi hanno appena spiegato quanto vale per un territorio in crisi la ricchezza di relazione, quella basata sul riconoscimento del valore dell’altro e non sul suo annichilimento. Mi chiede serio: “In dieci anni con questo ritmo transeremo il 10% dell’economia sarda. Ci credi?” A guardarti, Gabriele, non ho il minimo dubbio.